02/10/13

Genetliaco

Nel caos primordiale di questa seconda metà di settembre mi sono persa per strada il mio compleanno. E alla fine mica è stata 'na tragedia. Ne ho vari alle spalle e parecchi davanti, e non festeggiarne uno - come del resto non ne ho festeggiati altri - non è poi la fine del mondo. Il compleanno, come quasi tutto il resto nella vita - o, nei momenti di maggior cinismo, come proprio tutto il resto della vita -, ha il significato che gli si dà, niente di più e niente di meno. Quando poi, come nel mio caso, il compleanno coincide con l'anniversario di qualcosa che vorresti dimenticare, di qualcosa che ti ha cambiata e ha cambiato tanto altro, beh, sottovalutarlo e lasciarlo andare un po' così, sottotono-sottosilenzio-sottoconsiderazione, viene parecchio spontaneo. Aggiungiamoci poi che gli anni passano, le decine si aggiungono alle unità e viceversa, inizia la fase della fine dei giochi o finisce quella del loro inizio. Insomma, io non sono una fanatica del mio compleanno.
Capitano poi quei momenti di intensa pace interiore durante la quale, per non so quale perfidissima legge fisica/chimica/masochista, il neurone, per non perdere la sua motilità di base, si mette a cogitare cose profondissime. Che poi io sono strana, parecchio strana, e 'sti momenti di intensa pace interiore ergo profonda riflessione mi capitano sempre quando rifaccio il letto o pulisco il bagno. Me ne esco fuori con perle di saggezza che farebbero invidia a qualsiasi stilita di professione.
Comunque.
Stasera mi rifacevo il letto in preda alla necessità di pace interiore. Tanta pace interiore. Almeno quella, dopo il caos primordiale. Mica ci pensavo che poi mi sarei messa a cogitare. Il cogito mi impedisce la pace interiore, ma del resto non c'è pace interiore senza cogito. L'ho detto che sono strana.
Ari-comunque.
Mi sono messa a pensare a quello che vorrei. Ma non quello che vorrei nel senso delle scarpe Louboutin del post precedente. Quello che vorrei in un senso un po' diverso. Più profondo, forse. Più inconscio. Più incisivo. Più, insomma.

Vorrei una routine. Vorrei una pausa - merenda che coincide con i cartoni di Bim Bum Bam, immancabilmente alle 16:30, cascasse il mondo o si scatenasse il caos primordiale. Vorrei andare a letto sapendo cosa mi aspetta il giorno dopo. Vorrei una tabella da seguire, orari da rispettare e un episodio di Georgie da vedere per ricordarmi che innamorarsi di tre ragazzi, due dei quali sono tuoi fratelli, è peggio di qualsiasi caos primordiale.
Vorrei dormire tranquilla, addormentarmi senza avvoltoi e svegliarmi senza patemi. Vorrei sognare qualcosa di realizzabile. Vorrei non dover aspettare ore passate a fissare il soffitto prima di addormentarmi. Vorrei avere abbastanza forza o abbastanza debolezza per parlare di quello che mi tiene sveglia, allontanare il ghiaccio, scagliare la pietra e poi sarà quel che sarà.
Vorrei liberarmi da quelle occhiate che giudicano, dai silenzi che giudicano più delle occhiate, dalle parole sussurrate e da quelle urlate. Vorrei liberarmi dalla bambina che sente di dover rinunciare, dall'adolescente che sa cosa ci si aspetta da lei, dall'adulta dipendente da ciò che alcuni pensano di lei. Vorrei eliminare la necessità di giustificarmi costantemente, il bisogno di chiedere scusa per qualcosa che non ho commesso, il continuo ricordarsi e addossarsi doveri che non mi spettano.
Vorrei che scrivere avesse il potere catartico che aveva prima, quando mi bastava scarabocchiare due frasi per sentirmi più leggera. Ma soprattutto vorrei, fortissimamente vorrei, ricordarmi in ogni momento della giornata che sono io, dopo tutto, che sono fatta così, coi buchi neri e le quindici personalità, sempre in bilico tra non si sa nemmeno cosa, che c'è voluto tempo, e fatica, e vita, per diventarlo. E che mi piaccio così, anche quando sono in disaccordo con me stessa.


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