25/11/13

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Detto anche, con un tocco di cosmopolitismo, 

STOP VIOLENCE AGAINST WOMEN


Lo dico sinceramente.

Quando sento dire che chi ti picchia non ti ama, che amare non significa subire, che il rispetto per l'altro passa prima per il rispetto di noi, e rispettarsi non significa farsi malmenare, sono colta da un brivido di gelo profondo.

Perchè queste frasi vengono ripetute alla televisione, quasi quotidianamente, per cercare di avvicinare più donne possibili. Di conseguenza, queste donne che devono essere avvicinate dalla televisione, sono altrettanto avvicinate da qualche presunto uomo così piccolo nel cervello e nell'uccello da credere di avere il diritto di alzare le mani sulla malcapitata.

Quello che mi provoca il brivido di gelo, tuttavia, è la mia incapacità di mettermi nei loro panni. Di capire come sia possibile giustificare un atto di violenza, un livido, o anche solo la possibilità che ciò succeda. E anche di capire come si possa rimanere con una sottospecie di uomo del genere. Cos'è che tarpa le ali, la consapevolezza, l'autostima, l'istinto di conservazione, l'orgoglio? Non lo so. E credo che questa mia incapacità sia parte del problema. Perchè pone una distanza incolmabile tra me e queste donne. Senza che questo comporti giudizi qualitativi o quantitativi su di me o su di loro. Perchè è questo il concetto più sbagliato: non si tratta di me o di loro. Si tratta di noi. Noi donne. Noi uomini. Noi esseri senzienti che in più della scimmia abbiamo giusto il pollice opponibile e poco altro. Noi persone che viviamo nel mondo.

Ci beiamo della nostra evoluzione, della ruota, dell'elettricità, dei passi sulla Luna, e quanto siamo più meglio dei nostri progenitori. Bubbole. Siamo come loro. Siamo peggio. Siamo a un livello tale di involuzione che dobbiamo affidarci a trasmissioni televisive per ottenere ciò che è nostro di diritto: leggi severe che vengano fatte rispettare, ad esempio. 

Ma sul rispetto, proprio quello minimo di base che dovrebbe essere insito in ognuno, si può legiferare?

14/11/13

Questo anno così intenso

Caro pispolo,
sì, ti chiamo pispolo, così, pubblicamente. E continuerò a farlo prima e dopo la tua maggiore età, sappilo adesso e mettiti l'anima in pace. E quando avrò la dentiera, più rughe che capelli e una manciata di bisnipotini che faranno lo slalom tra il bastone e la sedia a dondolo, bene, continuerò a chiamarti pispolo. Perchè t'ho pulito e cambiato il pannolino, perchè m'hai fatto la pipì addosso e perchè mi hai vomitato in faccia, in un momento indimenticabile. Indimenticabile perchè allora ero ancora in grado di alzarti sopra la testa, mica per altro. Adesso tutte le volte che ti prendo in collo mi cede l'anca e la scapola sospira. Ma non demordo, continuerò a prenderti in collo e a farmi baciare, anche se ogni tanto ti sfugge la differenza tra baciare e sbavare. Ma del resto sei un maschio, e mica sempre i maschi la capiscono, 'sta differenza sostanziale. Magari però di questo parliamo un'altra volta. In occasione dei tuoi 21 anni, che ne dici?

Caro pispolo,
ricordo quando ti ho visto la prima volta. Ti ho preso in braccio e mi sono avvicinata ai tuoi occhietti nebulosi, perchè i neonati non vedono a più di 20 centimetri (o 30? 'Na roba del genere, comunque) di distanza. Aspettavo un'epifania che non è arrivata, ma in compenso ti ho amato subito. Non è stato un momento epico, ma sicuramente indimenticabile. I momenti epici li lasciamo a Omero, e chissenefrega. Da lì ti sei insinuato nella mia vita, silente e letale. Sì perchè, pispolo, te lo devo dire, io ti amo alla follia e darei svariati organi vitali per te, ma da quando ti conosco ho capito che significa invecchiare. Non c'entrano i capelli bianchi, le rughe, le smagliature, le vene varicose e tutta un'altra serie di cose orride di cui preferisco dimenticare la possibilità dell'esistenza. Invecchiare significa che alla settima volta che facciamo le scale in su e in giù io ansimo e sono prossima all'attacco di cuore, e te stai lì, alzi i braccini e mi guardi come a dire: "Gliela fai o te cambio con un modello nuovo? Perchè il prossimo lo vorrei col bluetooth, i messaggi telepatici mi paiono troppo lenti.".

Caro pispolo,
quando oggi hai scoperto che dietro la porta ci sono le scale, e hai guardato in rapida successione le scale, la porta, le scale e me, con quegli occhioni spalancati e quella bocca atteggiata a O, ho capito che è vero che i bambini ti fanno riscoprire la sorpresa e l'emozione nelle cose di tutti i giorni. Perchè per te le scale compaiono solo con la porta aperta, come se fosse una magia, mentre se è chiusa le scale scompaiono, come se non esistessero. E dopo aver scritto questa cosa, e averla riletta un paio di volte, facciamo anche tre o quattro, ho capito che è una frase sensatissima per me ma piuttosto cretina per chiunque altro, e qui sì che m'è arrivata un'epifania: i primi filosofi, quelli di cui parlavamo ieri mentre facevi merenda, Talete e Anassimene e Anassimandro e Eraclito e tutti gli altri simpaticoni, altro non erano che zii completamente rincoglioniti. Poi qualcuno li ha presi sul serio e voilà, mo' ce tocca sorbirci un sacco di cazzate spacciate come se fossero chissà che genialate. C'è da dire, però, che magari tra una ventina di secoli o giù di lì a scuola studieranno Giudittologia applicata e posizioneranno il mio busto in ogni pertugio di ogni biblioteca. Ah sì, ho anche pensato: "Oh porca troia, mica vorrai fare anche queste, vero?". Ma ti amo lo stesso.

Caro pispolo,
in quest'anno ti ho visto trasformarti da tartarughino senziente a tappo coinvolgente. Hai imparato a metterti seduto, a strisciare, a gattonare, a camminare. Hai imparato a mangiare. Hai imparato a sorridere, a ridere, a fare ciao. E poi hai imparato a parlare una lingua tutta tua, una via di mezzo tra il russo e il lappone con incursioni in svariate lingue morte. Dici mammmmmma, babbabbabbo perchè dirlo con solo due sillabe non renderebbe bene l'idea del rapporto speciale e intenso che vi lega, gnogna che vale per le nonne, i nonni e la bisnonna, ma tanto diciamocelo francamente, loro mica c'hai bisogno di chiamarli, basta un impulso mentale ed eccoli lì, a viziarti in modo spudorato e in modi che mai avrebbero immaginato finchè sono stati solo genitori. Sei passato dalle gengive mollaccicose a delle gengivette dure e pericolosissime, e alla fine, oggi, proprio oggi, tra le ovazioni generali, eccolo qua, il primo angolo del primo dente. Una conquista fantastica, ma caspiterina, quanto rogni per 'sti denti. Se penso che questo è solo l'inizio, e a quanto c'hai da crescere, mi prende una vertigine. Di emozione. E di un vago senso di terrore.

Caro pispolo,
volevo farti gli auguri ed è venuta fuori una lettera senza capo nè coda.
Ma l'amore è così.

14/10/13

Antropologia di un esame

Dovendo rivestire il mio CV di un'allure più letteraria e meno archeologica militante, mi sono iscritta (intanto) all'esame di Letteratura italiana contemporanea.
Ho mandato una mail al professore per avere il programma da non frequentante.
Mi ha risposto a stretto giro di posta elettronica.


M. Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani. Michel Djerzinski e Bruno Clément sono fratellastri e sembrano essere accomunati unicamente dall'abbandono della madre. Michel è uno scienziato dedito alla biologia molecolare e vicino al Nobel. Un uomo che ha dedicato la sua esistenza agli studi scientifici che lo hanno portato all'isolamento e all'impermeabilità a qualunque emozione. Il suo sogno è riuscire a clonare gli esseri umani così da poter garantire a essi una vita perfetta. Bruno è un uomo di lettere, fa l'insegnante, è attirato dal sesso in modo morboso, ed è costretto dalla malattia a entrare e uscire dalle cliniche psichiatriche. Sia la morbosità patologica di Bruno sia l'asettica razionalità di Michel sono il risultato dell'ambiente che li circonda: un mondo fatto di solitudini e dominato dal caso in cui i desideri sembrano scaturire dagli spot pubblicitari. Nella descrizione di questo quadro apocalittico, nell'aridità di questa umanità scarnificata si intravedono scenari futuri dai risvolti inquietanti. Uno sguardo disincantato sul corpo agonizzante della civiltà occidentale che ricorda scrittori l'oltreoceano come DeLillo, Carver, D.F. Wallace e T.C. Boyle. Un libro spietato, intenso, bello ed estremo. (dalla quarta di copertina)

C. Lasch, L'io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un'epoca di turbamenti, Feltrinelli. In un'epoca di turbamenti come la nostra, in cui la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza, l'identità - che implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso di appartenenza a un luogo - diventa un lusso. Per l'individuo in stato di assedio, la difesa dell'equilibrio psichico impone la contrazione di un io minimo che, per fronteggiare le imprevedibili avversità, si nutre di ciò che trova nella cultura emergente: l'ironia protettiva e il disimpegno emotivo, la riluttanza a stringere legami affettivi a lungo termine e il vittimismo, il fascino delle situazioni estreme e il malsano desiderio di applicarne la lezione alla vita di ogni giorno. Attraverso un'indagine che tiene conto degli ambiti più diversi (l'arte e la filosofia, il costume e la psicanalisi), Christopher Lasch propone una chiave di lettura del mutamento culturale in corso offrendo un lucido e misurato contributo all'intelligenza del presente. (dalla quarta di copertina)


P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti. La "mutazione antropologica", il grande tema delle Lettere luterane, ci appare oggi un nodo su cui è obbligatorio riflettere: trentacinque anni fa era il rovello di un intellettuale lucidissimo e isolato [...]. Ci appare oggi evidente anche un perno centrale del ragionamento di Pasolini: l'impossibilità di "separare i fenomeni". L'impossibilità cioè di analizzare il Palazzo senza tener conto che "un Paese di cinquanta milioni di abitanti sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia". Da questo rischio Pasolini metteva in guardia con forza, eppure la sua metafora fu assunta allora - e diventò linguaggio comune - proprio prescindendo da quella decisiva consapevolezza. Così avvenne anche più tardi, nella profondissima crisi dei primi anni Novanta. Si diffuse allora l'illusione che bastasse demolire il vecchio, davvero putrido Palazzo per liberare le energie di una virtuosa società civile: si basarono su questo molte euforiche attese di una salvifica Seconda Repubblica. E molti disastri. (dalla terza di copertina)

P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti. L'invisibile rivoluzione conformistica di cui Pasolini parlava con tanto accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975 non era affatto un fenomeno invisibile. Chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi Scritti corsari può restare sbalordito. Il fatto è che per Pasolini i concetti sociologici e politici diventavano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce [...] di parlare in pubblico del destino presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia secolare. (dalla terza di copertina)

K. Yasunari, Walter Siti, Troppi paradisi, Einaudi. Si chiama "Walter Siti, come tutti", il protagonista di questo romanzo. Se da giovane era convinto di essere anomalo, adesso, giunto a sessant'anni, ha scoperto di essere tipico. "La mia prima mediocrità - dice di sé - è caratteriale, ed epica, volevo dire etica". Per lui è arrivato il momento di acquietarsi, di trovarsi una nicchia e un equilibrio: il lavoro universitario, ormai una sinecura; il rapporto con Sergio, quasi un matrimonio. Così, tra un compromesso e l'altro, la vita potrebbe scorrere tranquilla, placida, completa. Ma Walter è ossessionato dal paradiso: dal paradiso personale, che gli manca, e dai troppi paradisi collettivi con cui l'Occidente ha abbagliato sé stesso. Per sua fortuna, o per sua disgrazia, il paradiso arriva con Marcello, angelico culturista di borgata bellissimo e ambiguo, che sembra incarnare come nessun altro lo spirito dei tempi. E cosa importa se per averlo Walter dovrà pagare un prezzo troppo alto? Ogni cosa si compra, ma alle volte le rese dei conti hanno il sapore di una vittoria. (dalla quarta di copertina)


Ho iniziato a leggere il primo, e già mi si sono rizzati tutti i capelli. Quando arriverò all'"angelico culturista di borgata che sembra incarnare lo spirito dei tempi" sarò diventata calva. 
Lo so.







02/10/13

Genetliaco

Nel caos primordiale di questa seconda metà di settembre mi sono persa per strada il mio compleanno. E alla fine mica è stata 'na tragedia. Ne ho vari alle spalle e parecchi davanti, e non festeggiarne uno - come del resto non ne ho festeggiati altri - non è poi la fine del mondo. Il compleanno, come quasi tutto il resto nella vita - o, nei momenti di maggior cinismo, come proprio tutto il resto della vita -, ha il significato che gli si dà, niente di più e niente di meno. Quando poi, come nel mio caso, il compleanno coincide con l'anniversario di qualcosa che vorresti dimenticare, di qualcosa che ti ha cambiata e ha cambiato tanto altro, beh, sottovalutarlo e lasciarlo andare un po' così, sottotono-sottosilenzio-sottoconsiderazione, viene parecchio spontaneo. Aggiungiamoci poi che gli anni passano, le decine si aggiungono alle unità e viceversa, inizia la fase della fine dei giochi o finisce quella del loro inizio. Insomma, io non sono una fanatica del mio compleanno.
Capitano poi quei momenti di intensa pace interiore durante la quale, per non so quale perfidissima legge fisica/chimica/masochista, il neurone, per non perdere la sua motilità di base, si mette a cogitare cose profondissime. Che poi io sono strana, parecchio strana, e 'sti momenti di intensa pace interiore ergo profonda riflessione mi capitano sempre quando rifaccio il letto o pulisco il bagno. Me ne esco fuori con perle di saggezza che farebbero invidia a qualsiasi stilita di professione.
Comunque.
Stasera mi rifacevo il letto in preda alla necessità di pace interiore. Tanta pace interiore. Almeno quella, dopo il caos primordiale. Mica ci pensavo che poi mi sarei messa a cogitare. Il cogito mi impedisce la pace interiore, ma del resto non c'è pace interiore senza cogito. L'ho detto che sono strana.
Ari-comunque.
Mi sono messa a pensare a quello che vorrei. Ma non quello che vorrei nel senso delle scarpe Louboutin del post precedente. Quello che vorrei in un senso un po' diverso. Più profondo, forse. Più inconscio. Più incisivo. Più, insomma.

Vorrei una routine. Vorrei una pausa - merenda che coincide con i cartoni di Bim Bum Bam, immancabilmente alle 16:30, cascasse il mondo o si scatenasse il caos primordiale. Vorrei andare a letto sapendo cosa mi aspetta il giorno dopo. Vorrei una tabella da seguire, orari da rispettare e un episodio di Georgie da vedere per ricordarmi che innamorarsi di tre ragazzi, due dei quali sono tuoi fratelli, è peggio di qualsiasi caos primordiale.
Vorrei dormire tranquilla, addormentarmi senza avvoltoi e svegliarmi senza patemi. Vorrei sognare qualcosa di realizzabile. Vorrei non dover aspettare ore passate a fissare il soffitto prima di addormentarmi. Vorrei avere abbastanza forza o abbastanza debolezza per parlare di quello che mi tiene sveglia, allontanare il ghiaccio, scagliare la pietra e poi sarà quel che sarà.
Vorrei liberarmi da quelle occhiate che giudicano, dai silenzi che giudicano più delle occhiate, dalle parole sussurrate e da quelle urlate. Vorrei liberarmi dalla bambina che sente di dover rinunciare, dall'adolescente che sa cosa ci si aspetta da lei, dall'adulta dipendente da ciò che alcuni pensano di lei. Vorrei eliminare la necessità di giustificarmi costantemente, il bisogno di chiedere scusa per qualcosa che non ho commesso, il continuo ricordarsi e addossarsi doveri che non mi spettano.
Vorrei che scrivere avesse il potere catartico che aveva prima, quando mi bastava scarabocchiare due frasi per sentirmi più leggera. Ma soprattutto vorrei, fortissimamente vorrei, ricordarmi in ogni momento della giornata che sono io, dopo tutto, che sono fatta così, coi buchi neri e le quindici personalità, sempre in bilico tra non si sa nemmeno cosa, che c'è voluto tempo, e fatica, e vita, per diventarlo. E che mi piaccio così, anche quando sono in disaccordo con me stessa.


18/09/13

Quello che mi fa stare bene...

...non sono queste Caovilla, che renderebbero i miei piedocci ancora più tondi:



...né queste me-ra-vi-glio-se Louboutin, che comunque amo:



...e, incredibilmente, neanche le Manolo-sinonimo-di-Carrie:



Incredibilmente, insospettabilmente, improvvisamente, le scarpe che amo e che non toglierei mai, sono queste:


perchè sono comode, allegre e colorate, non m'ammazzano il piede né mi accorciano la gamba e, soprattutto, alla quasi vigilia del compleanno-che-segna-la-fine-dei-giochi, mi fanno sentire spensierata e dimolto gggiovane.

Come ho fatto a farne a meno finora? Come??

16/09/13

Gulp - yeah - coff

Sabato pomeriggio è apparso un cartello "Vendesi".
Sulla porta di casa del VicinoFigo.
Ed è stato subito panico.

La ricerca di maggiori informazioni è stata immediata e forsennata.

Gli scenari più terribili sono parsi immediatamente i favoriti.

Il trauma era lì, pronto a dispiegarsi in tutto il suo splendore.
Voglio dire, è più di un quarto di secolo che il VicinoFigo fa il VicinoFigo.
Non può esistere il PaeselloBucolico senza il VicinoFigo.
Imploderebbe.

Poi, dopo il tramonto, quando il buio aggiungeva del suo al panico incombente, la conferenza stampa. Benedette sempre siano le mamme pettegole.

Il VicinoFigo si trasferisce. Ha ottenuto il permesso edilizio di mettere a posto, allargare, rendere abitabile. 
Cosa? L'ambaradan che sta davanti al mio cancello.
Dico davanti. Da-van-ti.
Non più leggermente di sguincio.
Davanti.
Porta - porta, finestra - finestra, giardino - giardino.
Davanti.

Ed è subito festa.

Finchè:
EvvaiCosì: "Eh, ora sì che sarebbe bello se te e il VicinoFigo... beh, hai capito cosa."
LaGiuditta: "Perchè ora sì e fino a ieri il tuo commento era 'aaaaargh'?"
EC: "Perchè adesso potrei passare a chiamarti la mattina bussandoti direttamente alla finestra di camera. In pigiama. Per passarti il caffè e berlo insieme."
LG: "..."


Aaaaargh.

11/09/13

Aforismi

La caccia, il Gran Premio di Monza e il ramino sembrano tre cose che, tra loro, non c'incastrano 'na cippalippa.
Per le persone normali.
Peccato che da queste parti di persone normali ne transitino poche. Ma poche poche poche.

Tanti tanti tanti tanti anni fa, quando il mondo girava in senso antiorario, i genitori facevano i genitori, le figlie facevano le figlie e il padrino e la madrina facevano gli zii, la caccia, il Gran Premio di Monza e il ramino erano inestricabilmente legati.
SignorNo e lo zio si dedicavano alternativamente alla caccia (-"Avete preso qualcosa?" -"Macchè, tutte padelle!") e al Gran Premio di F1 (-"Ma come, è già finito?" -"Forse sarebbe sembrato più lungo, se non vi foste addormentati al terzo giro!"), EvvaiCosì e la zia ci davano sotto col ramino (-"Chiuso!" -"Hai un culo tale che ti servirebbero due sedie. Anzi, attenta che cadi!"), LaGiuditta, FS e SorellAmica si ricreavano nonostante la sturbante presenza di AbominUomo.

Poi le cose sono cambiate. Un po' anche in meglio, come dimostra la dipartita di AbominUomo in favore di TassioPissa.
L'unica cosa che non cambia mai è lo spaventoso, strepitoso, ammorbante e spropositato culo di EvvaiCosì. In senso metaforico, ovviamente.
E dopo un fine settimana dedicato a subire una batosta dopo l'altra, ci sono tre concetti che sento di dover tramandare al mondo:

1) Il culo è come la luna: prima o poi si eclissa [cit.]

2) Se è vero che "sfortunata al gioco, fortunata in amore", domani mi sposo col VicinoFigo che mi sollazzerà finchè morte non ci separi, e pure dopo [cit.]

3) mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai giocare a ramino con EvvaiCosì.

09/09/13

Bloblies

Avevo un'insopprimibile voglia di brownies.
E quando LaVoglia chiama, LaGiuditta risponde.

Il mese scorso - lo sanno tutti che agosto è un ottimo mese per accendere il forno e strafogarsi di cioccolato e burro - ho provato a farli seguendo la ricetta di Joy of Baking. Sono venuti buonissimi e bellissimi. Non per merito mio, è che seguendo la videoricetta ho evitato momenti di panico e corbellerie varie.
A questo giro ho invece deciso di seguire la ricetta di Un'americana in cucina. Un blog che è un'ispirazione assoluta, io ve lo dico.

Di seguito vi riporto la ricetta, che ho seguito pedissequamente. In corsivo le mie impressioni praticamente minuto per minuto.
Qualche chiarimento:
a) tutto quello che succederà d'ora in poi è colpa mia, e solo colpa mia; la ricetta è praticamente perfetta e solo chi è impedito quanto me può avere dei dubbi;
b) sono impedita per cause esterne a me. Se faccio dei crostini, EvvaiCosì crea dei canapè caldi e freddi con decorazioni 3D; se faccio un pan di spagna, EvvaiCosì tira fuori una torta a tre piani con decorazioni in fondente e fiori in gum paste; se mi faccio un panino EvvaiCosì allestisce una parata di sandwiches degni dell'afternoon tea della regina d'Inghilterra. Capite bene che con questa concorrenza la voglia di spignattare m'è passata più o meno nel momento in cui m'è venuta;
c) ho raddoppiato le dosi perchè vivo in una famiglia di golosi impenitenti, in cui qualsiasi dolciume dura giusto il tempo di vederlo.

E ora...



I BLOBLIES


Cosa serve: (in ordine di apparizione):

- un forno;
- una teglia 20x20 (io due 21x31 in alluminio usa e getta, perchè il mio parco teglie fa piangere e al supermercato di cui sotto avevano solo queste);
- un pentolino con l'acqua (n.b.: su questo pentolino andrà poi posizionata la ciotola/insalatiera di cui sotto per sciogliere un po' di roba a bagnomaria, quindi deve avere una misura apposita);
- una bilancia;
- una ciotola/insalatiera in vetro;
- una frusta o meglio ancora una spatola; se siete come me, va bene pure un mestolo in legno.

Ingredienti:

- 150 gr. di burro (io 300 gr., e fatevelo dire, 300 gr. di burro sono una quantità inimmaginabile di burro. Si tratta di burro, nel caso vi fosse sfuggito.)
- 250 gr. di zucchero (io 500 gr.; assaggiando però mi parevano non abbastanza dolci, quindi ce n'ho aggiunta un'altra sventagliata in corso d'opera, e no, non voglio commentare.)
- 75 gr. di cacao amaro in polvere (io 150 gr., e a questo punto ci sta una rivelazione: al supermercato vicino al PaeselloBucolico il cacao amaro costa quasi il doppio del cacao in polvere zuccherato. Non so se sia così ovunque, ma io la prossima volta comprerò quello zuccherato e diminuirò la dose di zucchero. Forse.)
- 1/4 di cucchiaino di sale (io mezzo cucchiaino, ma sinceramente ho solo preso un pizzicotto di sale e l'ho sparso sul resto con fare professionale)
- 2 uova (io 4, ma le galline della suocera di FS sono particolarmente produttive e saranno fiere di avere i loro 2 minuti di celebrità su questo blog)
- 60 gr. di farina (io 120 gr., ma non ho niente da commentare)

Cosa fare e cosa succede:

Riscaldare il forno a 180 gradi (bene. Io l'ho fatto proprio in questo momento, e non è che ho riscaldato il forno. L'ho proprio surriscaldato.).
Imburrare le teglie (e soprassederò sulle mani che colano burro che mi perseguitano ancora).
Mettere un po' d'acqua del rubinetto nel pentolino e far scaldare.
Pesare tutti gli ingredienti (perchè farlo dopo, con il blob che blobba, può essere difficoltoso) e sistemarli sul tavolo (per lo stesso motivo di prima).
Tagliare il burro a quadratini (un po' perchè fa chic, un po' perchè così si scioglie prima), e metterlo nella ciotola con il cacao, lo zucchero e il sale.
Sistemare la ciotola sul pentolino con l'acqua (che a questo punto dovrebbe essere lì lì per bollire) e prepararsi al massacro alla creazione del blob.
Mescolare con fiducia e determinazione fino ad ottenere un composto omogeneo (allora. Prima o poi avrete un composto omogeneo, perchè se l'ho avuto io potete averlo anche voi. Nel frattempo, però, passerete attraverso queste fasi: 1) non si scioglie niente ma l'acqua schizza dalle fessure lasciate dalla ciotola; 2) sconforto; 3) non si scioglie niente ma s'è ammappazzato tutto; 4) non si scioglie niente ma il blob inizia a produrre strani rumori; 5) non riuscite più a mescolare perchè s'è ammappazzato troppo; 6) sconforto; 7) qualcosa inizia a sciogliersi; 8) il blob continua a rumoreggiare ma finalmente riuscite a mescolare; 9) a forza di mescolare e di maledire il blob ottenete un composto omogeneo.).
Togliere dal fuoco e lasciar raffreddare leggermente (leggermente significa proprio leggermente, perchè il blob vi ama, anche se non si direbbe, e più si raffredda più si appiccica, e davvero, avere il blob appiccicato addosso, sulla ciotola, sul mestolo, sul tavolo, sulla pagina della ricetta, non è consigliabile).
Incorporare le uova, una alla volta, amalgamandone perfettamente una prima di passare alla successiva (col primo uovo è filato tutto liscio, tranne che non riuscivo a rompere il tuorlo, ma alla fine l'ho placcato e massacrato con la personalità serial killer che non sapevo di avere; col secondo uovo il blob ha inizio a smolecolarizzarsi, e quando alla fine l'ho ricondotto alla ragione, con una trattativa degna dell'ONU, ho notato che era vagamente più vischioso di prima; col terzo uovo il blob ha iniziato a blobbare, ad agitarsi, a borbottare, senza contare che si stava smolecolarizzando sempre più; il timor panico ha preso il sopravvento e già mi ero immaginata inglobata nel blob a vivere la mia vita blobbizzando; col quarto uovo il blob ha smesso di botto di fare tutto quello che faceva prima, ed ha assunto una lucentezza vista prima solo nella pubblicità della Pantene, una consistenza ottimale ed era buonissimo, soprattutto dopo aver aggiunto la sventagliata di zucchero in sovrappiù.).
A questo punto aggiungere la farina e mescolare vigorosamente per un paio di minuti (dunque, io la farina l'ho aggiunta in tre volte perchè, completamente impanicata, temevo che il blob riprendesse a blobbare e non ce l'avrei fatta a domarlo un'altra volta. In questo modo invece è filato tutto liscio e il blob non s'è lamentato per niente.).
Versare il composto nella teglia (io nellE tegliE, ma uno zinzino di composto è finito pure sul tavolo. E un po' sulla maglietta. E un altro po' sulla testa di Spocchiosetta e Gadollo, che stavano lì nella speranza che qualcosa di commestibile gli finisse in bocca. Beh, l'ho quasi accontentati, basta migliorare la mira per la prossima volta.).
Infornare e cuocere a 180 gradi per 20 - 25 minuti (a me, che avevo surriscaldato il forno, sono bastati 15 minuti), tenendo presente che facendo la prova stecchino questo deve uscire ancora un po' umido e con qualche briciola attaccata.
Far raffreddare e solo quando sono freddi tagliare a quadrotti (figuriamoci se aspettavo tutto 'sto tempo. Li ho fatti raffreddare un po', poi li ho tagliati e ovviamente assaggiati. Effettivamente hanno corso il rischio di spezzarsi e trasformarsi in un puzzle, perchè erano troppo morbidi, ma è bastata un po' di accortezza).

A dispetto dello pseudo-dramma della preparazione, dovuto più al mio cedere facilmente al panico che al blob in sè per sè, i brownies/bloblies sono venuti ottimi. Anzi, più che ottimi. Anzi, ancora meglio. Cioccolatosi, dolci ma non stucchevoli e di una consistenza fondente che crea dipendenza. Insomma, io preferisco questi agli altri.

E ora scusate, ma devo strafogarmi. Anche questo è disciplina, altroché.


07/09/13

Il primo amore non si scorda mai

Le borse sono state la mia prima passione.
La prima cosa che ho rubato dall'armadio di mia mamma.
Il primo acquisto che ho fatto con il primo stipendio.
Amo profondamente e con la stessa passione un sacco di altri accessori, e anche un sacco di altre cose che accessori non sono, ma le borse mi suscitano sempre un brivido di nonsoche. Che siano semplici shopper di tela, famose icone di famose firme, borse comprate in spiaggia, al mercato, all'outlet, in negozio, basta che siano grandi e/o capienti come insegna Mary Poppins, quel brivido di nonsoche non manca mai, più fedele di qualsiasi uomo o cane abbia mai conosciuto.
Quindi.
Essendo i chiar di luna quel che sono, ecco qualche proposta low cost per stuzzicare il mio brivido.

Pimkie:






Bershka:






Stradivarius:





H&M:




...e se l'e-shop di legami non mi avesse abbandonato, non sarebbe finita qui...


06/09/13

Settembre

Settembre.
Tempo di nuovi propositi da non mantenere.
Tempo di compleanno.
Tempo di foglie che cadono e luce gialla.
Che poi, io non capisco perchè l'anno inizi a gennaio, quando per tutti o quasi il vero inizio dell'anno è a settembre. Reminiscenze dei tempi della scuola, immagino.

Comunque, ecco i miei buoni propositi rigorosamente in ordine sparso:

- smettere di cercare nuovi inizi, e farmi andare bene quelli vecchi. Alla fine, un inizio è pur sempre un inizio;

- comprare un'agenda e usarla;

- non farmi mandare in tilt dalla burocrazia;

- contare fino a dieci prima di rispondere. A meno che non si tratti di Puck, lui pretende risposte immediate, precise e che si adeguino alle sue volontà;

- continuare a sbavare infantilmente e inutilmente per il VicinoFigo perchè, mi perdoni il neurone, quella schiena poderosa, quelle spalle virili e quel culo sodo valgono bene un congiuntivo, un condizionale e pure un trapassato remoto in sovrappiù;

- convertirmi alla cancelleria seria. Basta Puffi, Ih-Ho, Olivia&Popeye, d'ora in poi andrò dritta sul monocolore. Almeno finchè non trovo un quaderno dei Sette Nani;

- ascoltare più musica;

- prendere più decisioni e non metterle in dubbio per almeno 7 giorni. Facciamo 5. Facciamo 3 e non parliamone più;

- fare una lunga camminata almeno tre volte alla settimana. Come incentivo mi permetterò di camminare dalle parti del VicinoFigo. E di portarmi la macchina fotografica. E le cose potrebbero farsi interessanti;

- darmi una disciplina. Orari, cibi e blog. A questo blog serve della disciplina. Pure al cibo, ora che mi guardo.


Bene. Direi che sono buoni propositi chiari, semplici e facilmente perseguibili.
Forse.





Ops.



04/07/13

Reiterati rivolgimenti (di palle)

Io e l'insonnia siamo amiche da un bel po'.
Ma non è questo il problema.
Il problema è che mi stavo beando del fatto che è dal 18 maggio che nessuno mi straccia le palle parlandomi del mio ex. Ed ero parecchio beata.
Poi apro Facebook, giusto per vedere se c'era qualche notifica, così, in amicizia, e mi trovo un messaggio privato dell'entourage dell'ex. Sì, proprio di quello lì.
E già lì m'è partito un certo giramento.
L'entourage mi informa, pure piuttosto malamente, che all'ufficio postale di pertinenza del PaeselloBucolico c'è un libro che mi aspetta. Un libro. Spedito dall'ex. E che beh, se non ho ricevuto nessun avviso passi, ma se invece l'ho volutamente ignorato sono un mostro insensibile senza cuore.
Non proprio con queste parole, ma il concetto era chiaramente comprensibile anche da un minus habens.
Ora.
Tralasciamo le considerazioni sul fatto che i libri costano, le spedizioni pure, e che quindi non si capisce come abbia fatto l'ex a compiere un tale atto eroico. Tralasciamo anche quelle riguardanti la venerazione che nutro per i libri e che mi renderanno difficilissimo il doverglielo rendere. Del resto, ad atto eroico si risponde con atto eroico.
Soffermiamoci invece sull'entourage.
Perchè, se l'ex m'avesse scritto, o chiamato, o anche mandato un messaggio di fumo in caso di saldi sulla legna, avrei potuto capirlo. Sono un mostro insensibile e senza cuore, ma mica stupida, eh.
Ma l'entourage, che cazzo c'entra? Perchè, oltre ad avere a che fare con uno che evidentemente non ha capito che ci siamo lasciati, devo anche guardarmi dal suo amico che non perde occasione per ricordarmi che loro esistono?
Voglio dire. Esisti? Buon per te. Ma la cosa non mi tange minimamente. Lasciami in pace, fammi godere 'ste giornate di tempo ballerino, le risate di Puck, l'insonnia, la crostata di marmellata e lo spuntino di mezzanotte. Non ricordarmi che ho sprecato un anno e mezzo con qualcuno che, davvero, mi domando come ho fatto a non sfanculizzare in tempo zero. Lasciami vagare beata nel vortice della vita da single. Vortice mentale, eh. Questo assaporare possibilità che non necessariamente si devono concretizzare, libertà che non necessariamente devo mettere alla prova, limiti che non ho necessariamente bisogno di oltrepassare, o di rispettare. Questa sana consapevolezza di imperituro egoismo grazie al quale posso fare quello-che-voglio-quando-voglio-come-voglio senza dover allertare nessuno, senza dare spiegazioni che non siano strettamente necessarie, senza giustificare parole, silenzi e punteggiature, senza preparare mentalmente discorsi adatti a non suscitare crisi, paure, seghe mentali, illazioni.
Io single sto bene, si nota?
Non capisco, non accetto e non giustifico questo quasi continuo immischiarsi in cose che l'entourage potrebbe tranquillamente ignorare. Così come potrebbe ignorare me. Non sopporto di trovare questi messaggi su Facebook, così come non sopporto il timore che mi assale quando vedo certi tipi di macchine e penso che potrebbero aver davvero fatto la follia di venire qua. E cosa dovrei dirgli? "Mi dispiace se stai male, ma io sto così bene che non lo credo quasi possibile"? "Non mi pento di averti lasciato, mi pento solo di non averlo fatto prima"? "Pensare all'anno e mezzo che ho passato con te mi fa venire l'orticaria e dei seri serissimi dubbi sulla mia sanità mentale"?
Sono tutte cose che penso.
Sono tutte cose che me lo toglierebbero dalle palle definitivamente. Almeno spero.
Potrei anche dirgli di peggio, volendo.
Ma non mi piace giocare al massacro.
Del resto, non mi piace nemmeno passare la notte al vento dei cojoni che girano.





16/06/13

Palliativi

Vagamente depressa perchè colui che non sa usare i congiuntivi sa invece coniugare i tempi al condizionale - con un netto rivolgimento di priorità, aggiungerei -, mi sono lanciata alla ricerca forsennata-e-vagamente-disperata di palliativi: 

- prendersela con FS perchè l'idea di parlare al VF è stata sua

- vedere tutte le puntate di tutti i CSI mai mandati in onda, spin-off compresi

- diventare una aficionada del canale YouTube e del sito di Joy of Baking, benedetta sempre sia Stephanie e la possibilità di estrinsecare il bisogno di calorie senza lanciarsi sul barattolo della Nutella

- cercare il senso della vita nella Divina Commedia; tipo, il giudice Nino Visconti che dice a Dante "[...]quanto in femmina foco d'amor dura/ se l'occhio o'l tatto spesso non l'accende" mi ha ricordato che: a) ho fatto bene a far diventare tale il mio ex e b) canottiera batte condizionale 1 a 0

- scandagliare il web alla ricerca di maschere home-made, scrub home-made, manicure home-made, ovvero come dedicare del tempo a me stessa ma in versione low cost, che di questi tempi ci manca solo che fondo la carta di credito per colpa di un troglodita qualsiasi

- ariscandagliare il web perchè ho voglia di doughnuts, e quando il doughnuts chiama è imperativo rispondere; che poi potrebbe nascere tutta una discussione sul gap tra Milano e il PaeselloBucolico, visto che là trovi tutto quello che desideri e pure quello che non desideri, e qua pure Baloo, a cui notoriamente basta lo stretto indispensabile , avrebbe serie difficoltà ad accontentarsi

- cercare nuovi giochi con cui sollazzare Puck, che prevedano necessariamente il suo lancio nell'aria e possibilmente qualche triplo salto mortale, perchè se non si rischia il cazziatone di FS e il suo veto assoluto non ci si diverte

- allenarsi a fare le bolle di sapone più grandi e indistruttibili mai fatte prima con una dotazione di base, con la scusa che a Puck piacciono tanto - il fatto che alla zia piacciano anche di più non c'entra niente, ovvio -


Alla fine, direi che va quasi bene così.


12/06/13

Ci vuole coraggio

VicinoFigo: "Buonasera" (detto con voce calda e profonda)
LaGiuditta: "Ciao" (sì, assomigliava più a un miao che a un ciao, ma alla fine si tratta solo di una consonante, e chi se ne frega di una consonante)
VF: "Oggi ci siamo incontrati proprio un sacco di volte" (detto con la voce calda e profonda di cui sopra)
LG: "Eh sì. (lo so, e sono state tutte queste volte in cui ci siamo incontrati realmentecasualmente a convincermi che sia un segno del destino. E anche il sole. E il fatto che stamani non sei andato a lavoro e avevi quella camicia bianca con cui eri ancora più figo. E che FS non è venuta e ci siamo visti anche senza la complicità di Puck-che-è-sempre-un'-ottima-scusa. Insomma, il destino mi chiama, e devo rispondere. Va bene, più che chiamarmi mi pare che il destino mi stia tirando per i capelli. Almeno spero. Non sono mai stata brava a capire cosa dicesse il destino. Ma, questa volta, o la va o la spacca)."
VF: "..."
LG: "Senti, ti andrebbe una pizza una sera?"
VF: "Ah. Beh. Boh."
LG: "Ah."
VF: "Non lo so."
LG: "Ah. Ehm. (Ho lasciato il gatto sul fuoco, scusa, devo andare.)
VF: "Può darsi."

Del resto, dall'uomo che se ne era già uscito con la perla del "ma per pescare bisogna uscire", cosa potevo aspettarmi?

28/05/13

Orazio, Odi, I, 30

O Venus, regina Cnidi Paphique, 
sperne dilectam Cypron et vocantis
ture te multo Glycerae decoram
transfer in aedem.

Fervidus tecum puer et solutis
Gratiae zonis properentque Nymphae
et parum comis sine te Iuventas
Mercuriusque.



O Venere, regina di Cnido e di Pafo,
lascia la tua Cipro diletta
e scendi nel tempietto di Glicera
ove ella t'invoca con copioso incenso!

Con te sia il fervido fanciullo, e accorrano
le Ninfe e con le sciolte
cinture le Grazie
e Gioventù, men lieta senza te, e Mercurio!



(Orazio, Odi - a cura di L. Canali) 



Incenso. Mi serve dell'incenso.
E un tempietto.
 

18/05/13

Paparazzi

Allora, io me lo ricordo perchè ho ho scritto questo. Davvero. Non sono vittima di un attimo di rimbecillimento acuto.
Ma poi anche basta.
Voglio dire, ti smazzi per tenere nascosto chi sei, dove sei, perchè ci sei. E, nonostante una lunghissima lista in mano a una SorellAmica a piede libero, ti smazzi pure per evitare che i dettagli della tua fu vita sentimentale siano sparsi per il mondo. Perchè, e qui sta il problema, ti illudi che i motivi per cui te e il tuo ex vi siete lasciati siano solo di vostra spettanza. Non basta doverti giustificare con il Lui  in questione. No. Devi farlo anche con l'entourage. Che mica si può fare un etto di cazzacci suoi, l'entourage. No. Deve stracciarti i maroni anche a 5 mesi di distanza, in una sera in cui all'entourage si sommano un attacco di colite che ti è quasi stato fatale e un giramento di cojoni che ti trascini appresso da tre-giorni-tre. 
L'entourage vuole sapere il come, il perchè, il percome, gli annessi e i connessi. E non importa che tenti di svicolare in ogni modo legale, no. Non serve appellarsi alla privacy. Alla sensibilità. Alla delicatezza. Al fatto che si facesse li cazzacci de li mortacci sua. No. L'entourage è pervicace.
E, nonostante gli auguri una sessione no-limits sulla tazza del cesso, l'entourage avrà il fatto suo. 

Ci sono tanti, tanti, tanti motivi per cui ho lasciato Lui. Che poi sono i motivi per cui tutte le coppie si lasciano, mica mi sono inventata nulla. Ho tralasciato solo le corna, sia per una questione di rispetto che per coerenza verso me stessa. E poi già ho difficoltà con un uomo per volta, figuriamoci due. Che poi, potremmo cavillare sul termine "uomo", ma tant'è, lo sputtanamento pubblico mi pare sufficiente. 
Dicevamo.
Tanti tanti tanti motivi, già. Alcuni magari li tralascio, che nonostante l'incazzatura profonda mi è rimasto un barlume di umanità. E poi preferisco tenermi qualcosa per l'eventuale secondo round. Mica posso giocarmi subito le mie carte migliori.
Sì, smetto di divagare. I motivi, allora. In ordine sparso, eh.

- Vedere l'individuo con cui stai (da un anno e mezzo) in imbarazzo se te e sua madre prendete un caffè insieme è castrante delle buone intenzioni di chiunque. Non parliamo dell'allucinante pomeriggio che m'è toccato passare tra macchina, Ikea e Oviesse. Ma mica per l'Ikea e l'Oviesse, eh. Manco per sua madre, una santa donna che non si sa come abbia fatto a tirare su un rincoglionito del genere. Solo perchè il rincoglionito era talmente a disagio per non s'è capito quale sega mentale, che ha rovinato lo shopping a tutti. E, seriamente, non pensavo che qualcuno potesse mai rovinarmi lo shopping all'Ikea, per non parlare dell'ammirazione degli smalti Essence all'Oviesse. Chiuso in un silenzio imbronciato, torvo e vagamente inquietante, s'aspettava chissà cosa e ha avuto in cambio chissà che altro. Lo so, il discorso non è stato molto chiaro, ma nemmeno la situazione lo è stata. E poi era solo un esempio. La cosa si può sintetizzare così: ti pare che posso stare con uno che cammina sulle uova non appena non siamo più soli? Rilassati bello, che la vita è fatta di persone. Almeno la mia.

- Andremo, faremo, penseremo, capiremo, compreremo, -emo, -emo, -emo. Ora. Sinceramente. Ma 'sta cazzo di luce in fondo al tunnel s'accende o no? Perchè è bello parlare del futuro, ci mancherebbe. Io parlo anche del futuro che so di non avere. Ma, voglio dire, preoccuparci del presente? Usare un sono invece di un sarò e un andiamo invece di un andremo? Perchè mica è tanto bello passare giornate a immaginare quelle che vorranno. Ti perdi quelle che ci sono. E che succede quando ti accorgi che sono passate, e sono vuote? Non mi piace stare sospesa in una bolla aspettando che succeda qualcosa. Anzi, aspettando che qualcuno decida che deve succedere qualcosa. Inoltre, le buone intenzioni sono sempre ben accette. Ma bisognerebbe darsi da fare per realizzarle, non aspettare che si realizzino di loro sponte.

- Ci sono frasi che nell'intimità non vanno dette. Ma nemmeno pensate. E non mi riferisco a qualche evergreen sul porco andante. Sul podio metterei: 
3° posto: "Ma così faccio fatica"
2° posto: "Ma così sono scomodo"
1° posto: "Ma quanto hai a finire?"
Che, sinceramente, la gogna pubblica è poco. E, soprattutto, rileggendo 'ste perle mi viene da chiedermi quale (stupido) Santo sia intervenuto per impedirmi di commettere omicidio. No, via. Mica ti dico di andare su qualche canale video dedicato al tema e mettere in atto chissà quale acrobazia. Ma almeno taci, razza di pigro scansafatiche ignorante e dispatico.

- Sempre per la serie "Bisognerebbe imparare a stare zitti", ecco di cosa non parlare nella prima telefonata del mattino, quella notoriamente dedicata a dirsi tante belle cose che facciano iniziare bene la giornata:
3° posto: politica e lavoro che manca
2° posto: bollette e vari drammi quotidiani
1° posto: peso corporeo e motilità intestinale
Il bello delle relazioni è il mistero. Dico sul serio. E a me non me ne frega niente di come sei andato in bagno, quanto tempo ci sei stato, come è andata e qual è stato il risultato. Mistero, dicevo. Sano silenzio. Soprassiedi. Taci. Non c'è bisogno che dici per forza qualcosa. Soprattutto qualcosa del genere.

- Io lo capisco che non tutti sono Rockfeller. Davvero. Vivo abbastanza nel mondo reale per saperlo con quasi totale certezza. Ma porca di quella pupazza, non mi puoi fare polemica perchè alla posta spedirmi i biglietti di è costato 40 centesimi più di quanto pensavi. E non puoi comprare i biglietti del pullman in offerta (talmente in offerta che per spendere meno ti andava bene farmi partire all'alba) e farli passare come regalo di Natale. Nè questionare perchè il parcheggio, al mare, costa 2 euro per tutta la giornata. Che già li sento, i commenti. E perchè non hai pagato te? Risposta: non fatevi ingannare. Lui stracciava le palle sempre e comunque, indipendentemente dal proprietario del portafoglio. Sarebbe stato troppo facile, altrimenti. A proposito del non lasciarsi ingannare. Questi sono esempi. Il succo del discorso è che apprezzo l'uomo oculato (almeno in teoria, non lo negherò), ma il vile tirchio mi snerva. Soprattutto quando lo vedo una volta ogni tre mesi, motivo per il quale non mi si può imputare la spesa continua e dissennata dei suoi sudati risparmi.

- Non prendeva un'iniziativa manco a prenderlo a calci. Mica mi riferisco a turpi storie di letto, eh. Almeno, non mi riferisco solo a quelle. Ad esempio, sapete chi ha scelto il ristorante in cui portarmi per il mio compleanno? No? Ve lo dico io. Sua madre. Che ha pure dovuto convincerlo. Ovvero, che lo ha preso a male parole obbligandolo a portarmi a cena fuori. Per il mio compleanno, intendo dire. No, perchè lui sarebbe anche rimasto a casa. Sia mai che c'avesse avuto da spendere.

- C'è una cosa che assolutamente pretendo nell'uomo che ho accanto. Sulle altre, anche su quelle che ho elencato finora, posso passarci sopra, con un po' di impegno. Ma su una in particolare no. Io esigo l'uomo che non cede al panico. Quello che sbianca di fronte alla cartina della Tube londinese, quello che se si scarica il navigatore scende dalla macchina e piange, quello che se sgocciola il rubinetto chiama il pronto soccorso idraulico perchè non sa tenere in mano una chiave inglese, ecco, non fanno per me. Un po' perchè io di mio tendo al panico, per quanto cerchi di dominarmi dandomi mentalmente della donnicciola da strapazzo. Un po' perchè per me la coppia è una spalla (metaforica) a cui appoggiarsi reciprocamente, se e quando necessario, ed è evidente che se la spalla è in preda al panico diventa parecchio ma parecchio difficile appoggiarcisi. Figuriamoci come sono rimasta quando Lui, in visita a CittadinaMedievale, ha dato in escandescenze quando non ha trovato immediatamente parcheggio aggratis, sbiancando come se avessi preteso un solitario-taglio-smeraldo-di-Tiffany, e impanicandosi completamente, forse immaginando di doversi caricare la macchina sul groppone e di portarla in giro per il centro storico. Ora, fidatevi: CittadinaMedievale è una delle poche città in cui non ci sono problemi di parcheggio. Non solo è piena di parcheggi, ma essendo piccola non è che ci sia tutta 'sta differenza tra parcheggiare in centro o in periferia. Sarà che non esiste la periferia. Comunque. Al mio sguardo stupito, e anche un po' smarrito, la giustificazione è stata: "Se non sono nei miei posti, mi impanico facilmente. Gli altri non li conosco.". La sentite la campana che suona a morto, vero?

- Farsi venire vicendevolmente non significa necessariamente fare del sano sesso insieme.

- Chiunque sa che la situazione italiana non è proprio delle migliori (disse Pollyanna). E chiunque ha la sua ricetta per cambiare le cose. Chiunque tranne quelli che le cose potrebbero cambiarle sul serio, ma questo è un altro discorso. Appurato ciò, non è che te tutti i giorni ti puoi disperare per il lavoro che non c'è/il costo della vita che aumenta/la paranoia che sale perchè: 1) magari ti stai dimenticando che potrei essere nella stessa situazione tua, e non è proprio bello sentirsi ricordare quotidianamente quanto sei fallita, nel caso te lo dimenticassi; 2) alla novecentesima volta che ripeti le stessi frasi, alle quali io rispondo con le stesse parole, parte il deja vu e pare di ritrovarsi in Quella sensazione che puoi dire soltanto in francese di Sthephen King; 3) passare la giornata a sentirti lamentare di ovvietà, triste e cupo come un qualsiasi TG, rientra nella sindrome della cretina, non in quella della crocerossina. Non di sola evasione vive l'uomo, d'accordo, ma nemmeno di sola triste quotidianità.

- Rifiutarsi di inviare un CV a un'ottima azienda, che pubblicava un'ottima offerta di lavoro, fornisce buoni spunti per scrivere un post, è vero, ma rovina un attimino l'atmosfera, soprattutto quando una delle motivazioni addotte è: "Ma io non mi voglio trasferire là. Qua ho la mia famiglia, quindi ti trasferisci te.". No, testa di rapa, perchè io non ho famiglia, vero? E poi, di cosa ti lamenti quotidianamente, se poi non invii CV causa dettagli? Dimmi, di cosa? Lo fa(cev)i solo per stressare me?

Ed ecco come, perchè, percome, annessi e connessi, molto in sintesi e censurato qb, LaGiuditta si stancò, lasciò Lui e si rese conto di essere di nuovo single. E contenta.



...a me Novella 2000 mi fa 'na pippa...



 

13/05/13

LaGiuditta Reloaded

Prima di tutto specifichiamo una cosa: quando le cose si mettono di buzzo buono per andar male, andranno male a prescindere. Puoi giusto sederti sul gradino e aspettare che abbiano finito, e 'fanculo.
Acquisita questa grande verità, andiamo avanti.

L'avanti si estrinsicherebbe in libri da leggere, pagine da studiare, parole da scrivere, concetti da ricordare e Puck da viziare spudoratamente.
E fin qui ci siamo.

Poi c'è il VicinoFigo. No, dico, la stagione non aiuta e la canottiera bianca rimane nell'armadio, ma la shirt verde è godereccia. Godereccia parecchio.
Talmente godereccia che quando lo vedo, il neurone si getta in ginocchio e chiede pietà. No, questo è l'ormone. Il neurone è disperso. Neurogramma piatto. Connessione in corso perpetua. 'Na roba che mi vergogno di me stessa.
Io. Una ex faccia di bronzo. Una timida convertita a viva forza, regredita a livello cavernicolo andante. Ora, posso capire che sono obbligata all'uso degli occhiali, e la cosa mi inibisce alquanto. Ma insomma, c'ho da dirgli tre parole: "Ti va una pizza una sera?". Va bene, non sono tre parole. Però non è che ho bisogno di vederlo nitidamente per dirle, no? Anzi, probabilmente è meglio vederlo poco e male. Tipo talpa esposta improvvisamente al sole di mezzogiorno, insomma. In ogni caso, se passate dalla pizzicheria compratemi 1 kg. di coraggio e 500 gr. di sfrontatezza, grazie.

Infine, last but not least, m'hanno assunto per un mese di prova (buahahah). Eh sì. Mica pizza e fichi. E c'è pure la possibilità di essere assunti a tempo indeterminato. Ah, e di fare carriera. Ho già riso sarcasticamente, vero? Che poi è stato bello, davvero. Ho inviato il CV in una delle mie sessioni di mando-il-curriculum-a-chiunque-basta-che-possa-tenermi-i-vestiti-addosso. C'era scritto "mansioni di segretariato". Giuro. Segretariato. Poi mi contattano la prima volta, mi fissano un colloquio e lo sfissano subito dopo a stretto giro di telefonate. Ma tipo un anno fa, eh. La settimana scorsa mi richiamano. Fissano un altro colloquio che, indovina-indovinello, viene sfissato il giorno dopo. Ma mica perchè hanno trovato una meglio, eh. Nonono, loro vogliono me. Proprio me. Prima mi assumono (per un mese di prova), poi la settimana prossima ci conosciamo. Ah beh. Non possono fare a meno delle mie competenze. Ah beh. Grazie. Non ho capito esattamente che c'entrano le conoscenze archeologiche, archeometriche e ceramologiche con le mansioni di segretariato ma tant'è, è evidentemente un problema mio. Solo che non si tratta di segretariato. Sì, lo so che io ho inviato un CV dettagliato per quelle mansioni là, ma no. Praticamente è un call center, ma non fa chic dirlo. E si offendono pure se provi a insinuarlo. I call center non sono politically correct. Insomma, ci si prova. Tanto è un mese di prova (con le possibilità di carriera e di contratto a tempo indeterminato però). E fingerò di non essermi sentita un po' Marta, mentre mi spiegavano cosa dovevo fare. Basta solo che non mi chiedano di cantare così, appena scesa dal letto.


02/04/13

Motivi per cui i Milanesi* mi faranno diventare matta

1) I Milanesi vanno sempre di corsa. Sempre. Nel tempo in cui io prendo il caffè, un Milanese DOC assume un pasto completo. E dico "assume" perchè il Milanese non mangia. Masticare e deglutire è una perdita di tempo. Non per niente, all'università la pausa pranzo non è prevista. Puoi assumere un adeguato numero di calorie approfittando dei quarti d'ora accademici, altrimenti dieta.
2) I Milanesi si mettono in fila per qualunque motivo. Anzi. Si mettono in fila anche quando non c'è motivo. Per il Milanese la fila è vita. Se c'è fila c'è speranza. Non si sa di cosa, ma la speranza spesso basta a sè stessa.
3) I Milanesi non ti riconoscono al di fuori del tuo contesto originario. Nel senso, se ti hanno conosciuto seduta al terzo posto della seconda fila, non ti riconoscono se ti siedi al secondo posto della terza fila. Tocca ricominciare da capo tutto il processo di socializzazione e, sinceramente, i processi di socializzazione milanesi sono lenti, ridondanti e complessi.
4) I Milanesi hanno uno strano modo di parlare di cui non riesco ad appropriarmi. Ora, davvero, non ho intenzione di rifarmi a Dante e al limpido italiano parlato nella mia regione. Ma: a) tutte le volte che sento dire lèziòne mi si rizzano anche i peli che depilo accuratamente, e b) se non capisci quando ti chiedo un pahchetto di Hamel Light è colpa tua e non mia, anche se so benissimo che dovrei chiedere un pakkketto di Kamel Laitt. Per non parlare di quell'accento snob che presuppone che l'interlocutore sia tonto e che stia parlando nonostante l'insalata incastrata tra gli incisivi.
5) I Milanesi non vedono mai il cielo. Cioè, io capisco che il cielo da quelle parti sia di un grigiore spaventevole e che il sole, quando c'è, sia giusto una macchia sfocata. Certo che salire in macchina nel garage sotterraneo sotto casa per arrivare al parcheggio sotterraneo della metropolitana (che guardacaso è sotterranea), o anche al parcheggio sotterraneo del centro commerciale (che non è sotterraneo ma è comunque illuminato artificialmente) non invoglia a sfoderare gli occhiali da sole e a girare a naso all'insù.
6) I Milanesi hanno una spinta verso l'edificazione e la cementificazione che stupisce. Stupisce soprattutto che non abbiano ancora buttato giù il Duomo, perchè con tutti quei volumi da reimpiegare in pieno centro ci sarebbe da fare il colpo immobiliare del secolo.
7) I Milanesi lavorano. Lavorano 24/24, 7/7. Poi non hanno tempo per trovare un/a fidanzato/a, una lavatrice nuova, un hobby, un paio di scarpe decenti, cinque minuti per accorgersi che il Comune ha indetto la campagna "Adotta una guglia", scoprire che possono visitare un sacco di musei tutti dentro il Castello Sforzesco (voglio dire, sia mai che uno perde tempo a spostarsi tra sedi diverse). Hanno a malapena il tempo di farsi una doccia ma, ça va sans dire, il profumo dei soldi copre ogni altro olezzo.
8) I Milanesi chiamano clèr la saracinesca. Lo dico con sicurezza, perchè l'ho googlato e sono finita sul WordReference Forum, mica pizza e fichi. Io pensavo che fosse La Clair, tipo un modo familiare per chiamare un aggeggio che vedi più spesso della moglie/del marito e che si frappone tra te e la libertà (leggi: la macchina) come se fosse un figlio. Poi mi sono resa conto che milanese e familiare non potevano andare nella stessa frase a meno di non coniare un nuovo ossimoro.


...continua...




* Generalizzare è brutto e non si dovrebbe fare. Sono cattiva, lo so. :) 

** Scritto con la (fondamentale) partecipazione di buona parte dei rami della famiglia Pissa.