24/02/14

Glossario

Puck cammina e corre. Salta. Giravolta. Si nasconde.
Magna a quattro palmenti ma non sempre negli orari in cui dovrebbe farlo. Ora è in fissa per il ciaccino e se magnerebbe quello e il fornaio che lo sforna. Con l'aggiunta di un po' di passata di pomodoro bella fredda di frigo perchè si sa, l'aggiunta inopportuna di passata di pomodoro fredda di frigo rende appetibile anche la soletta degli stivali da lavoro del babbo.
Ti prende per mano e ti traina in luoghi facilmente accessibili a chi è alto meno di un metro. "Pispolo no fermo la zia non ci entra sotto la rosa ouch-che-dolore ti ho detto fermo non ci passo da lì ma porca zozza ho preso il ramo in testa pispolo lasciami che sto arando tutto il sottobosco no i rovi noooooooooooooooo" e alla via così.
E' Baloo-addicted e lo guarderebbe per ore di fila il che, pessima persona che sono, non sempre è il male perchè dopo un'ora di corse folli (sue) e di parate di angoli, bordi, scalini (mie) sbolognarlo davanti a un orso che balla e si gratta la schiena con le palme apre scenari di riposo inaspettati e gratificanti.
Gioca a girotondo, ma si butta per terra a "(quant'è bello il) mondo", poi si siede e si applaude. Il suo gioco preferito è nascondino, soprattutto quando fingi di non vederlo anche se ti sta pestando i piedi, dato che avere un compagno di giochi (che finge di essere) completamente idiota è divertentissimo.
'nsomma, Puck fa un sacco di robe e la zia potrebbe parlare per ore delle sue conquiste, che so' pure un po' mie, solo che ho ancora quel minimo di rispetto per la mia intelligenza che mi impedisce di vantarmi di cose che tutti i bambini fanno. Che poi lui sia il più figo è indubbio e non sarei una brava zia se non lo pensassi e/o esternassi.
Puck però non parla. Si esprime a sillabe ben precise e mette insieme frasi composite ma non comprensibili da nessuno. Il pispolese è una lingua estremamente complessa.


Dizionario pispolese - italiano

Mamma: mamma è mamma, e su questo non ci piove. Oppure può voler dire babbo, nonno, nonna, bisnonna, zia, cugino, ciuccio. Indovinare a chi si riferisce è indispensabile, ma non scevro di pericoli per i timpani.

Go: andiamo; muoviti; vieni; spostati. Tutto quello che ha a che vedere con il movimento è sintetizzato in go. Non ci si spiega da dove abbia tirato fuori questa influenza anglosassone, visto che il massimo di inglese parlato da queste parti è 'the book is on the table'. 

Gu: io; me. Esprime una qualsivoglia azione che possa essere egoriferita. Perchè Puck è tendenzialmente egoriferito, e giusto un tantino megalomane. Vagamente pispolocentrico, ecco.

Cquo: "ehi tu, adulto di riferimento, cos'è questa cosa qua? Come si colloca nell'ordine generale del mondo? Mi piace o no? Tu cosa ne pensi? Ti piace o no? Cos'altro puoi dirmi a questo proposito? Ma sei sicuro? Parliamone.".

Ga: uno dei nostri due cani, a scelta. Per estensione, perchè se non si estende non ci piace, ga indica qualsiasi animale, o anche qualcosa che assomiglia a un animale. Tipo i capelli a barboncino della vicina. 

(Gh)iaaa: non s'è capito bene. O perlomeno, gli altri non hanno capito bene. *momento ziacentrico: on* Per me è evidente che significhi zia. Che altro potrebbe significare? Del resto, se dice mamma, perchè non dovrebbe dire zia? Sono altrettanto importante e sicuramente più divertente. *momento ziacentrico: off*

Ooooooohhhhhhhh: può essere utilizzato in svariati contesti, ma tendenzialmente serve a sottolineare che quanto stai facendo non in linea con il suo volere. Tipo: "come ti permetti di non considerarmi?" o "come osi uscire di casa senza di me?", ma anche "no, non puoi andare in bagno adesso poichè stiamo giocando, e se la tua è una necessità impellente non me ne frega una cippalippa, dotati di pannolino e non rompere.".

Agà: potrebbe essere equiparato al "Gerooooonimoooooooooooooooo" dei paracadutisti americani.

Dedede: ecco, qui bisogna stare attenti. Dedede è il cazziatone del pispolo. La conseguente contropartita può essere devastante.

Mg: è la legna. O il bosco. O il mobile in legno. Insomma, qualsiasi cosa sia/sia stato/possa essere riferito a un albero. Essendo il babbo uno che con la legna ci lavora, mi sovviene il dubbio che mg possa essere una sorta di marchio di fabbrica debitamente registrato all'ufficio deputato all'uopo.

Eeeeh: (con le braccia allargate e i palmi rivolti in alto) è l'equivalente del "che cavolo stai dicendo (,Willis!)" di arnoldiana memoria


Al pispolo i centoquaranta caratteri vanno larghi. Lui è per Twitter 3.0.


21/02/14

Il gioco dei regni

Mi sono avvicinata alla lettura grazie al mio nonno.
Lui mi leggeva l'Odissea quando le altre bambine sognavano di essere Cenerentola. Lui mi ha insegnato la Divina Commedia lo stesso anno in cui ho letto Pinocchio. Lui mi ha prestato I Miserabili, e sempre grazie a lui a otto anni ho fatto una scorpacciata di western a causa dei quali ho sviluppato un'insopprimibile odio per il genere. Questo tanto per dire che in casa mia non c'è mai stata nessuna "censura" sui libri, ma è sempre stato valido il diktat: "se lo leggi tutto vuol dire che hai l'età giusta per farlo, altrimenti lo lasceresti a metà". Che può avere i suoi pro e i suoi contro, come tutto del resto.
Comunque. Dicevo. Un effetto collaterale - nel senso proprio di "che sta a fianco di" - di questa mia estrema libertà di lettura è stato che ho letto (troppo) presto libri che non potevo comprendere appieno, o che ho letto tardi libri considerati "infantili": ricordo perfettamente le risatine delle compagne di classe al liceo quando mi sono presentata con La guerra dei bottoni di L. Pergaud, forse più adatto (?) a una dodicenne che a una quindicenne. Ma ricordo altrettanto bene il senso di insopprimibile libertà e il godimento totale di leggere Il libro della giungla di R. Kipling comodamente spalmata su una sdraio, consapevole che fosse un libro per ragazzi e felice di riuscire a godermelo come se avessi la metà dei miei anni.

Ora, ho letto per la prima volta Il gioco dei regni di C. Sereni a dodici anni. Troppo presto solo perchè mi mancavano i mezzi per contestualizzarlo esattamente. L'ho letto come se fosse un diario un po' immaginario, la storia romanzata di chissà chi. Non immaginavo, e nemmeno mi ero posta il problema, che i protagonisti fossero vissuti realmente, che la storia fosse totalmente e assolutamente autobiografica. Una storia che, non so bene come, mi è entrata sotto la pelle, e che mi porto dietro inconsapevolmente. Da quella prima lettura un po' superficiale, l'ho letto innumerevoli altre volte. E' un libro all'apparenza leggero come le pagine su cui è stampato. Ma solo all'apparenza. Perchè in realtà è denso delle vite dei suoi protagonisti, alcuni noti e altri più silenti, ma non per questo meno importanti.
Non c'è bisogno che sia io a ricordare la vita e l'apporto alla storia, italiana e non solo, di Emilio Sereni, della moglie Xenia Silberberg, o del fratello Enzo
Clara Sereni inizia parlando dei nonni. Xenia e Lev, Samuele e Alfonsa. Due storie molto diverse, rivoluzionari russi i primi, benestanti romani i secondi; due vite diverse, inizialmente, quelle di Xenia ed Emilio. Impegnata nel rapporto difficile con la madre e nell'essere normale, uguale agli altri, borghese il più possibile, lei. In qualche modo speciale, seguito nella crescita (la "palestra" in casa perchè si cresca una mens sana in corpore sano), nell'istruzione e in qualche modo anche nei giochi (il gioco dei regni, appunto, da cui il titolo del libro), lui. All'inizio nemmeno si piacciono. Xenia vede i pantaloni con la riga stropicciata, lo reputa un ragazzucolo spiantato come tanti altri, e rimane sorpresa scoprendo, complice un temporale improvviso, che non è così. Ma poi l'amore nasce, ed è un amore incredibilmente forte, che sopravvive a tante difficoltà. Non certo difficoltà paragonabili a quelle di Aurora e Filippo. Sono le difficoltà di una vita vissuta secondo i propri ideali, in un periodo storico di cui questi ideali sono la nemesi. La galera, la fuga. E Xenia si scopre come sua madre, come non avrebbe mai voluto essere. La storia che si ripete, anche nel rapporto con la figlia Clara.
Il gioco dei regni è un libro costruito su più livelli. E' un libro che narra la vicenda di una famiglia nella sua quotidianità. E' un libro storico. Ma è un libro in qualche modo introspettivo, quasi catartico. E matriarcale. Sì, non c'è bisogno di ricordare l'importanza dei fratelli Sereni. Ma sono le donne che portano avanti la storia. 
E una più delle altre.
Alfonsa è la madre di Emilio. E' una donna silenziosa, che alla nascita del primo figlio pensa che "adesso c'è qualcuno che può parlare per lei". L'ansia per la prima cena importante con i suoceri ospiti, la differenza con la sorella Ermelinda. E poi quella maledizione lanciata da una vecchia in un vicolo: "che i tuoi figli crescano come grano al sole". Una frase persa in una pagina, ma che sottilmente ritorna durante tutta la narrazione. Proprio come Alfonsa. Sempre più silenziosa, ma sempre presente. Una donna tesa a permettere ai figli di essere chi vogliono e chi possono, nonostante le difficoltà di cui è ben consapevole, che accoglie le nuore alla morte di Enrico e all'incarcerazione di Emilio. Che si trasferisce in Palestina per vivere vicino a Enzo. E che qui perde il marito, quel Samuele a cui si è sempre appoggiata ma che ha sempre avuto bisogno di lei e della sua concretezza. 
E' Alfonsa, per me, la vera protagonista de Il gioco dei regni.



19/02/14

Cause di sturbo

Il fatto che 'sto blog non si aggiorni da solo, con al massimo la sola partecipazione di qualche impulso mentale che, non si capisce perchè, si alloca sempre in orari notturni. Ma parecchio notturni. Che tipo alle 3 di notte ho abbastanza idee per portare avanti cinque blog per sette anni, mentre alle 11 del mattino i miei emisferi sono aridi e devastati stile deserto di Atacama. Le meraviglie dell'insonnia e della vecchiaia più che incipiente.

I saldi su Yoox. Cioè, capiamoci, la stessa esistenza di Yoox è uno sturbo. Ma coi saldi. Ah, i saldi. Talmente "ah" che il neurone, l'unico che sopravvive a fasi alterne al deserto di Atacama, s'è rifiutato di salvare Yoox tra i preferiti. Almeno c'è la (vaga) speranza che in fase di down mi dimentichi della sua esistenza. Definitivamente. Dell'esistenza di Yoox, intendo, non di quella del neurone. O del deserto di Atacama.

Il pispolo che cresce. Che tipo in un mese è cresciuto di tre centimetri. Praticamente è alto quanto me. E diventa interattivo. "Puck, vedi che il computer non funziona? Non scrive.". E lui ti passa la penna. uahahahahahahah
O anche "Puck, vedi che non lo posso mettere 'Lo stretto indispensabile'? Non riesco a cliccare.". E lui ti passa il mouse. uahahahahahah 
A che livello di disperanti scuse si può arrivare per non vedere per la trecentomillesima volta Baloo che se la suona e se la canta? A un livello basso. Molto basso. Molto molto basso.

Il VicinoFigo che diventa più figo anche se intabarrato come Babbo Natale durante una tempesta artica. Peccato che non se la suoni nè se la canti. Mica come Baloo. Siamo fermi da agosto al "Ti va una pizza una sera?" "Può darsi." e non ci siamo mossi. Che poi, mica è facile muoversi quando ogni saluto è supervisionato da qualcuno. Pure il pispolo ci mette del suo, lui e il suo monopolizzare qualsiasi conversazione a suon di sillabe gutturali.

EvvaiCosì che sembra pagata a parole. Ma statti zitta una volta ogni dieci, no? Vivi in casa con una RincoNonna e un SignorNo, mica ti puoi mettere a ribattere a ogni respiro, sennò non si vive più. Appunto. Che si tratti di una reminiscenza dell'uno-quando-un-c'era-nessuno (by RN) o di una accesa polemica sui massimi sistemi (by SN) lei non può esimersi dall'esprimere il suo dissenso. Perchè lei dissente, sempre. E non è che se tiene un cecio in bocca. No-no-no. Lei il cecio lo trasmette in mondovisione, che Grillo col suo streaming è un dilettante. Sia mai che qualcuno possa pensare che lei non è il pezzo meglio e la femmina alfa. Quando si dice sperare in una laringofaringite fulminante.

Avere degli improvvisi flash delle stronzate dette quasi a ruota continua dal biiiiiiiiiiiiiiip del mio ex, e pensare ogni volta "Perchè non ho capito subito? Perchè portarla avanti per mesi? Perchè non dare retta all'istinto e fuggire a gambe levate? Perchè fingere che tutte queste cose non mi dessero fastidio?" Eh. Perchè. Mica lo so. Magari potrei saperlo, ma c'ho veramente voglia di mettermi a cogitare su un tizio pieno quanto il vuoto assoluto? Anche no. Certo che poi mi viene in mente qualche stupida frase (stupida nel senso di stupida, eh, che io gli stupidi li rinchiuderei a Stupidilandia. Fra l'altro, quanto è stupida la parola 'stupido'?) e mi vien voglia di grattarmi fino a cancellare il ricordo. Chissà se la crema al cortisone può tornare utile.


E' un periodo sturbante, non c'è niente da fare.


25/11/13

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Detto anche, con un tocco di cosmopolitismo, 

STOP VIOLENCE AGAINST WOMEN


Lo dico sinceramente.

Quando sento dire che chi ti picchia non ti ama, che amare non significa subire, che il rispetto per l'altro passa prima per il rispetto di noi, e rispettarsi non significa farsi malmenare, sono colta da un brivido di gelo profondo.

Perchè queste frasi vengono ripetute alla televisione, quasi quotidianamente, per cercare di avvicinare più donne possibili. Di conseguenza, queste donne che devono essere avvicinate dalla televisione, sono altrettanto avvicinate da qualche presunto uomo così piccolo nel cervello e nell'uccello da credere di avere il diritto di alzare le mani sulla malcapitata.

Quello che mi provoca il brivido di gelo, tuttavia, è la mia incapacità di mettermi nei loro panni. Di capire come sia possibile giustificare un atto di violenza, un livido, o anche solo la possibilità che ciò succeda. E anche di capire come si possa rimanere con una sottospecie di uomo del genere. Cos'è che tarpa le ali, la consapevolezza, l'autostima, l'istinto di conservazione, l'orgoglio? Non lo so. E credo che questa mia incapacità sia parte del problema. Perchè pone una distanza incolmabile tra me e queste donne. Senza che questo comporti giudizi qualitativi o quantitativi su di me o su di loro. Perchè è questo il concetto più sbagliato: non si tratta di me o di loro. Si tratta di noi. Noi donne. Noi uomini. Noi esseri senzienti che in più della scimmia abbiamo giusto il pollice opponibile e poco altro. Noi persone che viviamo nel mondo.

Ci beiamo della nostra evoluzione, della ruota, dell'elettricità, dei passi sulla Luna, e quanto siamo più meglio dei nostri progenitori. Bubbole. Siamo come loro. Siamo peggio. Siamo a un livello tale di involuzione che dobbiamo affidarci a trasmissioni televisive per ottenere ciò che è nostro di diritto: leggi severe che vengano fatte rispettare, ad esempio. 

Ma sul rispetto, proprio quello minimo di base che dovrebbe essere insito in ognuno, si può legiferare?

14/11/13

Questo anno così intenso

Caro pispolo,
sì, ti chiamo pispolo, così, pubblicamente. E continuerò a farlo prima e dopo la tua maggiore età, sappilo adesso e mettiti l'anima in pace. E quando avrò la dentiera, più rughe che capelli e una manciata di bisnipotini che faranno lo slalom tra il bastone e la sedia a dondolo, bene, continuerò a chiamarti pispolo. Perchè t'ho pulito e cambiato il pannolino, perchè m'hai fatto la pipì addosso e perchè mi hai vomitato in faccia, in un momento indimenticabile. Indimenticabile perchè allora ero ancora in grado di alzarti sopra la testa, mica per altro. Adesso tutte le volte che ti prendo in collo mi cede l'anca e la scapola sospira. Ma non demordo, continuerò a prenderti in collo e a farmi baciare, anche se ogni tanto ti sfugge la differenza tra baciare e sbavare. Ma del resto sei un maschio, e mica sempre i maschi la capiscono, 'sta differenza sostanziale. Magari però di questo parliamo un'altra volta. In occasione dei tuoi 21 anni, che ne dici?

Caro pispolo,
ricordo quando ti ho visto la prima volta. Ti ho preso in braccio e mi sono avvicinata ai tuoi occhietti nebulosi, perchè i neonati non vedono a più di 20 centimetri (o 30? 'Na roba del genere, comunque) di distanza. Aspettavo un'epifania che non è arrivata, ma in compenso ti ho amato subito. Non è stato un momento epico, ma sicuramente indimenticabile. I momenti epici li lasciamo a Omero, e chissenefrega. Da lì ti sei insinuato nella mia vita, silente e letale. Sì perchè, pispolo, te lo devo dire, io ti amo alla follia e darei svariati organi vitali per te, ma da quando ti conosco ho capito che significa invecchiare. Non c'entrano i capelli bianchi, le rughe, le smagliature, le vene varicose e tutta un'altra serie di cose orride di cui preferisco dimenticare la possibilità dell'esistenza. Invecchiare significa che alla settima volta che facciamo le scale in su e in giù io ansimo e sono prossima all'attacco di cuore, e te stai lì, alzi i braccini e mi guardi come a dire: "Gliela fai o te cambio con un modello nuovo? Perchè il prossimo lo vorrei col bluetooth, i messaggi telepatici mi paiono troppo lenti.".

Caro pispolo,
quando oggi hai scoperto che dietro la porta ci sono le scale, e hai guardato in rapida successione le scale, la porta, le scale e me, con quegli occhioni spalancati e quella bocca atteggiata a O, ho capito che è vero che i bambini ti fanno riscoprire la sorpresa e l'emozione nelle cose di tutti i giorni. Perchè per te le scale compaiono solo con la porta aperta, come se fosse una magia, mentre se è chiusa le scale scompaiono, come se non esistessero. E dopo aver scritto questa cosa, e averla riletta un paio di volte, facciamo anche tre o quattro, ho capito che è una frase sensatissima per me ma piuttosto cretina per chiunque altro, e qui sì che m'è arrivata un'epifania: i primi filosofi, quelli di cui parlavamo ieri mentre facevi merenda, Talete e Anassimene e Anassimandro e Eraclito e tutti gli altri simpaticoni, altro non erano che zii completamente rincoglioniti. Poi qualcuno li ha presi sul serio e voilà, mo' ce tocca sorbirci un sacco di cazzate spacciate come se fossero chissà che genialate. C'è da dire, però, che magari tra una ventina di secoli o giù di lì a scuola studieranno Giudittologia applicata e posizioneranno il mio busto in ogni pertugio di ogni biblioteca. Ah sì, ho anche pensato: "Oh porca troia, mica vorrai fare anche queste, vero?". Ma ti amo lo stesso.

Caro pispolo,
in quest'anno ti ho visto trasformarti da tartarughino senziente a tappo coinvolgente. Hai imparato a metterti seduto, a strisciare, a gattonare, a camminare. Hai imparato a mangiare. Hai imparato a sorridere, a ridere, a fare ciao. E poi hai imparato a parlare una lingua tutta tua, una via di mezzo tra il russo e il lappone con incursioni in svariate lingue morte. Dici mammmmmma, babbabbabbo perchè dirlo con solo due sillabe non renderebbe bene l'idea del rapporto speciale e intenso che vi lega, gnogna che vale per le nonne, i nonni e la bisnonna, ma tanto diciamocelo francamente, loro mica c'hai bisogno di chiamarli, basta un impulso mentale ed eccoli lì, a viziarti in modo spudorato e in modi che mai avrebbero immaginato finchè sono stati solo genitori. Sei passato dalle gengive mollaccicose a delle gengivette dure e pericolosissime, e alla fine, oggi, proprio oggi, tra le ovazioni generali, eccolo qua, il primo angolo del primo dente. Una conquista fantastica, ma caspiterina, quanto rogni per 'sti denti. Se penso che questo è solo l'inizio, e a quanto c'hai da crescere, mi prende una vertigine. Di emozione. E di un vago senso di terrore.

Caro pispolo,
volevo farti gli auguri ed è venuta fuori una lettera senza capo nè coda.
Ma l'amore è così.

14/10/13

Antropologia di un esame

Dovendo rivestire il mio CV di un'allure più letteraria e meno archeologica militante, mi sono iscritta (intanto) all'esame di Letteratura italiana contemporanea.
Ho mandato una mail al professore per avere il programma da non frequentante.
Mi ha risposto a stretto giro di posta elettronica.


M. Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani. Michel Djerzinski e Bruno Clément sono fratellastri e sembrano essere accomunati unicamente dall'abbandono della madre. Michel è uno scienziato dedito alla biologia molecolare e vicino al Nobel. Un uomo che ha dedicato la sua esistenza agli studi scientifici che lo hanno portato all'isolamento e all'impermeabilità a qualunque emozione. Il suo sogno è riuscire a clonare gli esseri umani così da poter garantire a essi una vita perfetta. Bruno è un uomo di lettere, fa l'insegnante, è attirato dal sesso in modo morboso, ed è costretto dalla malattia a entrare e uscire dalle cliniche psichiatriche. Sia la morbosità patologica di Bruno sia l'asettica razionalità di Michel sono il risultato dell'ambiente che li circonda: un mondo fatto di solitudini e dominato dal caso in cui i desideri sembrano scaturire dagli spot pubblicitari. Nella descrizione di questo quadro apocalittico, nell'aridità di questa umanità scarnificata si intravedono scenari futuri dai risvolti inquietanti. Uno sguardo disincantato sul corpo agonizzante della civiltà occidentale che ricorda scrittori l'oltreoceano come DeLillo, Carver, D.F. Wallace e T.C. Boyle. Un libro spietato, intenso, bello ed estremo. (dalla quarta di copertina)

C. Lasch, L'io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un'epoca di turbamenti, Feltrinelli. In un'epoca di turbamenti come la nostra, in cui la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza, l'identità - che implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso di appartenenza a un luogo - diventa un lusso. Per l'individuo in stato di assedio, la difesa dell'equilibrio psichico impone la contrazione di un io minimo che, per fronteggiare le imprevedibili avversità, si nutre di ciò che trova nella cultura emergente: l'ironia protettiva e il disimpegno emotivo, la riluttanza a stringere legami affettivi a lungo termine e il vittimismo, il fascino delle situazioni estreme e il malsano desiderio di applicarne la lezione alla vita di ogni giorno. Attraverso un'indagine che tiene conto degli ambiti più diversi (l'arte e la filosofia, il costume e la psicanalisi), Christopher Lasch propone una chiave di lettura del mutamento culturale in corso offrendo un lucido e misurato contributo all'intelligenza del presente. (dalla quarta di copertina)


P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti. La "mutazione antropologica", il grande tema delle Lettere luterane, ci appare oggi un nodo su cui è obbligatorio riflettere: trentacinque anni fa era il rovello di un intellettuale lucidissimo e isolato [...]. Ci appare oggi evidente anche un perno centrale del ragionamento di Pasolini: l'impossibilità di "separare i fenomeni". L'impossibilità cioè di analizzare il Palazzo senza tener conto che "un Paese di cinquanta milioni di abitanti sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia". Da questo rischio Pasolini metteva in guardia con forza, eppure la sua metafora fu assunta allora - e diventò linguaggio comune - proprio prescindendo da quella decisiva consapevolezza. Così avvenne anche più tardi, nella profondissima crisi dei primi anni Novanta. Si diffuse allora l'illusione che bastasse demolire il vecchio, davvero putrido Palazzo per liberare le energie di una virtuosa società civile: si basarono su questo molte euforiche attese di una salvifica Seconda Repubblica. E molti disastri. (dalla terza di copertina)

P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti. L'invisibile rivoluzione conformistica di cui Pasolini parlava con tanto accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975 non era affatto un fenomeno invisibile. Chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi Scritti corsari può restare sbalordito. Il fatto è che per Pasolini i concetti sociologici e politici diventavano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce [...] di parlare in pubblico del destino presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia secolare. (dalla terza di copertina)

K. Yasunari, Walter Siti, Troppi paradisi, Einaudi. Si chiama "Walter Siti, come tutti", il protagonista di questo romanzo. Se da giovane era convinto di essere anomalo, adesso, giunto a sessant'anni, ha scoperto di essere tipico. "La mia prima mediocrità - dice di sé - è caratteriale, ed epica, volevo dire etica". Per lui è arrivato il momento di acquietarsi, di trovarsi una nicchia e un equilibrio: il lavoro universitario, ormai una sinecura; il rapporto con Sergio, quasi un matrimonio. Così, tra un compromesso e l'altro, la vita potrebbe scorrere tranquilla, placida, completa. Ma Walter è ossessionato dal paradiso: dal paradiso personale, che gli manca, e dai troppi paradisi collettivi con cui l'Occidente ha abbagliato sé stesso. Per sua fortuna, o per sua disgrazia, il paradiso arriva con Marcello, angelico culturista di borgata bellissimo e ambiguo, che sembra incarnare come nessun altro lo spirito dei tempi. E cosa importa se per averlo Walter dovrà pagare un prezzo troppo alto? Ogni cosa si compra, ma alle volte le rese dei conti hanno il sapore di una vittoria. (dalla quarta di copertina)


Ho iniziato a leggere il primo, e già mi si sono rizzati tutti i capelli. Quando arriverò all'"angelico culturista di borgata che sembra incarnare lo spirito dei tempi" sarò diventata calva. 
Lo so.







02/10/13

Genetliaco

Nel caos primordiale di questa seconda metà di settembre mi sono persa per strada il mio compleanno. E alla fine mica è stata 'na tragedia. Ne ho vari alle spalle e parecchi davanti, e non festeggiarne uno - come del resto non ne ho festeggiati altri - non è poi la fine del mondo. Il compleanno, come quasi tutto il resto nella vita - o, nei momenti di maggior cinismo, come proprio tutto il resto della vita -, ha il significato che gli si dà, niente di più e niente di meno. Quando poi, come nel mio caso, il compleanno coincide con l'anniversario di qualcosa che vorresti dimenticare, di qualcosa che ti ha cambiata e ha cambiato tanto altro, beh, sottovalutarlo e lasciarlo andare un po' così, sottotono-sottosilenzio-sottoconsiderazione, viene parecchio spontaneo. Aggiungiamoci poi che gli anni passano, le decine si aggiungono alle unità e viceversa, inizia la fase della fine dei giochi o finisce quella del loro inizio. Insomma, io non sono una fanatica del mio compleanno.
Capitano poi quei momenti di intensa pace interiore durante la quale, per non so quale perfidissima legge fisica/chimica/masochista, il neurone, per non perdere la sua motilità di base, si mette a cogitare cose profondissime. Che poi io sono strana, parecchio strana, e 'sti momenti di intensa pace interiore ergo profonda riflessione mi capitano sempre quando rifaccio il letto o pulisco il bagno. Me ne esco fuori con perle di saggezza che farebbero invidia a qualsiasi stilita di professione.
Comunque.
Stasera mi rifacevo il letto in preda alla necessità di pace interiore. Tanta pace interiore. Almeno quella, dopo il caos primordiale. Mica ci pensavo che poi mi sarei messa a cogitare. Il cogito mi impedisce la pace interiore, ma del resto non c'è pace interiore senza cogito. L'ho detto che sono strana.
Ari-comunque.
Mi sono messa a pensare a quello che vorrei. Ma non quello che vorrei nel senso delle scarpe Louboutin del post precedente. Quello che vorrei in un senso un po' diverso. Più profondo, forse. Più inconscio. Più incisivo. Più, insomma.

Vorrei una routine. Vorrei una pausa - merenda che coincide con i cartoni di Bim Bum Bam, immancabilmente alle 16:30, cascasse il mondo o si scatenasse il caos primordiale. Vorrei andare a letto sapendo cosa mi aspetta il giorno dopo. Vorrei una tabella da seguire, orari da rispettare e un episodio di Georgie da vedere per ricordarmi che innamorarsi di tre ragazzi, due dei quali sono tuoi fratelli, è peggio di qualsiasi caos primordiale.
Vorrei dormire tranquilla, addormentarmi senza avvoltoi e svegliarmi senza patemi. Vorrei sognare qualcosa di realizzabile. Vorrei non dover aspettare ore passate a fissare il soffitto prima di addormentarmi. Vorrei avere abbastanza forza o abbastanza debolezza per parlare di quello che mi tiene sveglia, allontanare il ghiaccio, scagliare la pietra e poi sarà quel che sarà.
Vorrei liberarmi da quelle occhiate che giudicano, dai silenzi che giudicano più delle occhiate, dalle parole sussurrate e da quelle urlate. Vorrei liberarmi dalla bambina che sente di dover rinunciare, dall'adolescente che sa cosa ci si aspetta da lei, dall'adulta dipendente da ciò che alcuni pensano di lei. Vorrei eliminare la necessità di giustificarmi costantemente, il bisogno di chiedere scusa per qualcosa che non ho commesso, il continuo ricordarsi e addossarsi doveri che non mi spettano.
Vorrei che scrivere avesse il potere catartico che aveva prima, quando mi bastava scarabocchiare due frasi per sentirmi più leggera. Ma soprattutto vorrei, fortissimamente vorrei, ricordarmi in ogni momento della giornata che sono io, dopo tutto, che sono fatta così, coi buchi neri e le quindici personalità, sempre in bilico tra non si sa nemmeno cosa, che c'è voluto tempo, e fatica, e vita, per diventarlo. E che mi piaccio così, anche quando sono in disaccordo con me stessa.